I 28 gatti neri della prof. Barca
Cari Amici della Rossa e della buona letteratura gialla,
in occasione dell’inizio del nuovo anno scolastico 2016-17, voglio proporvi il resoconto di un incontro effettuato a fine maggio scorso come Piccola Maestra con la classe II B del G. G. Belli di Roma.
In fondo all’articolo troverete il sorprendente racconto scritto da Sofia, ispirata da Edgar Allan Poe e dal suo racconto Il gatto nero.
Buona lettura e complimenti ancora a Sofia!
Per il secondo anno consecutivo la prof. Simona Barca della Scuola Secondaria “G. G. Belli” di Roma mi ha invitata a leggere alcuni racconti di Edgar Allan Poe ai ragazzi della II B, chiedendomi anche di ripetere l’esperimento tanto ben riuscito in precedenza: alla fine del primo incontro di dicembre, lasciare ai ragazzi il piacevole incarico di comporre un racconto partendo dall’incipit di uno di quelli non proposti loro e a me l’onore di leggerli durante un secondo incontro, assieme naturalmente all’originale di Poe.
L’anno scorso la scelta cadde su La caduta nel Maelstroem, mentre quest’anno ho voluto concedere questo privilegio a Il gatto nero, perché lo consideravo molto stimolante:
“Per il racconto stranissimo e pure casalingo che mi metto a stendere per iscritto, non
mi aspetto ne chiedo di essere creduto e pure matto non sono e certissimamente non sogno.
Ma domani morirò e oggi vorrei liberarmi l’anima di questo peso…”
Nel momento stesso in cui lo lessi, spuntarono tante manine come funghi: “Il protagonista è in prigione e sta per essere condannato a morte!”. “Macché” ribatté il compagno di banco. “Lui è malato e sa di dover morire!” Un altro, con il viso illuminato da un evidente colpo di genio creativo, si alzò in piedi di scatto: “E se fosse stato avvelenato?” Una ragazzina dal visetto affilato puntualizzò: “Mica è detto che sia un maschio, eh? Potrebbe essere anche una donna!” Dall’ultimo banco si alzarono voci di disapprovazione: “Ma che dici! Dice matto, mica matta!”
Solo il suono della campanella della ricreazione aveva appianato le divergenze e raffreddato gli animi.
Ci eravamo salutati con la promessa di rivederci entro l’anno ed ecco che questa mattina, a distanza di cinque mesi, erano fuori la classe ad aspettarmi, con la curiosità negli occhi e una certa trepidazione nella voce. “Li ha letti?”
Certo che li ho letti, e li ho anche molto amati. Prima però di qualsiasi considerazione mia, ho voluto chiedere loro cosa avessero provato a scrivere un racconto tutto loro sullo spunto fornito da un grandissimo scrittore.
Le loro risposte si sono sovrapposte in un frastuono indicibile ma il senso era uno e uno solo: l’avevano trovato divertentissimo!
Come Piccola Maestra non posso che plaudire all’iniziativa della loro professoressa che ha generato una sinergia perfetta tra lettura e creatività, e unirmi all’applauso scrosciante con cui i genitori presenti hanno accompagnato tutte le letture.
Bravi TUTTI i ragazzi, brava la Prof ma un bravissima molto speciale lo merita Sofia: le sue camelie stamane hanno sprigionato nell’aria un pungente (e convincente) aroma di rimorso.
Non mi credete? Giudicate voi stessi…
Buona lettura dalla Rossa!
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Le camelie
Per il racconto stranissimo e pure casalingo che mi metto a stendere per iscritto, non
mi aspetto ne chiedo di essere creduta e pure matta non sono e certissimamente non
sogno.
Ma domani morirò e oggi vorrei liberarmi l’anima di questo peso…
Ormai ho raggiunto i 75 anni e soffro di una malattia di cui non ho parlato ai miei cari,
sono cosciente della mia morte imminente e voglio lasciare questa lettera con le mie
memorie per confessarvi il delitto per cui non ho ancora pagato il giusto prezzo.
Avevo all’incirca 16 anni quando litigai brutalmente con il mio fratellastro di 13, quel
pomeriggio lui entrò sbraitando nella mia stanza accusandomi non so neanche più di
cosa, cominciò ad aggredirmi ed insultarmi sempre più arrivando sino a dire che non
appartenevo alla sua famiglia e a quella della signora Linda (la donna che mio padre
sposò, dopo la morte di mia madre) a queste parole persi del tutto il controllo e lo colpii
violentemente alla testa con il fermacarte che avevo comprato in vacanza alle Hawaii
due estati prima. Vedendolo cadere mi precipitai allarmata su di lui, lo scossi per le
spalle senza vedere segni di vita sul suo viso e gli misi allora il polso sotto il naso: non
respirava più. Mi resi conto del delitto che avevo commesso, alzai gli occhi dal corpo di
mio fratello e mi vidi nello specchio, due occhi spalancati e le labbra serrate ridotte
quasi ad un taglio sulla faccia fui sul punto di non riconoscermi in quel viso duro e
gelido, distolsi lo sguardo che passò da me al cadavere di mio fratello a terra, steso,
immobile, bianco come un lenzuolo.
Rimasi come una statua per quella che credetti fosse una buona mezz’ora, ipnotizzata a
guardare il sangue che, allargandosi, macchiava il tappeto dove poggiava la testa del
mio fratellastro e mi accorsi che seppellita sotto l’orrore, la paura, la tristezza, c’era
anche una scintilla di piacere per la mia azione e la cosa mi fece rabbrividire.
Mi sentii paralizzare però non appena ricordai che la signora Linda era uscita per delle
compre e quindi sarebbe tornata di lì a poco.
Provai un terrore puro quando pensai al mio delitto, all’omicidio di suo figlio, e al come
spiegarle cosa era successo…
Alla fine feci la scelta peggiore della mia vita: decisi di inventare una rapina da parte di
un ladro introdottosi in casa furtivamente che, quando scoperto, uccise mio fratello e
legò me ad una sedia.
Per rendere realistica la rapina mi infilai dei guanti in lattice, andai in camera di Linda
presi la federa del suo cuscino e ci misi dentro tutti i gioielli che erano sul suo comò.
Salii sulla sua sedia, quella dove Linda si pettinava tutte le sere prima di andare a
dormire, e arrivai a toccare il punto sul soffitto dove c’era la botola che portava al
sottotetto. L’aprii e vi gettai dentro il sacco, ripromettendomi di ritornare a prenderlo
non appena possibile. Quindi tornai in camera mia presi una canottiera leggera due
calzerotti e delle calze in nylon che avevo nel cassetto del comodino. La canottiera me
l’annodai dietro la testa passandola nella bocca per imbavagliarmi; mi legai le caviglie
alle gambe della sedia con i calzerotti da ginnastica e alla fine le mani insieme con le
calze: quest’ultima cosa fu la più complicata perché dovei legarmi le due estremità delle
calze ai polsi, mentre il bustino dovetti farlo passare da dietro lo schienale sulla fronte
mettendolo in tensione e poi, muovendo la testa, lo feci scattare e scivolando sulla
pancia finì per legarmi saldamente alla sedia. Proprio mentre terminavo la mia
complicata operazione la porta di casa si aprì e sentii Linda salire le scale. Doveva
passare davanti camera mia per arrivare alla sua e in quel momento scoppiai a piangere
per lo stress.. Quale fortuna, lacrime al momento giusto!
Quando Linda aprì la porta mi vide piangere a dirotto, ma subito il suo sguardo fu
attratto da ben altro: urlò guardando suo figlio a terra col sangue tutt’intorno alla testa,
si precipitò verso di lui gettando in aria i pacchetti che aveva acquistato, lo alzò lo
baciò lo chiamò più e più volte fino a perdere la voce, solo quando capì che non poteva
fare altro che piangere guardò verso di me… allora di corsa tempestandomi di domande
mi slegò frettolosamente e vedendo che io non ero in grado dal gran piangere di dire
nulla andò a occuparsi di suo figlio. Dopo pochi istanti, stavo sempre piangendo, andai
ad accoccolarmi vicino a lei stringendomi con le braccia le ginocchia. Io piangevo di
terrore per cosa avevo fatto, per le conseguenze che potevo correre, e per come le cose
stavano andando: nessuna domanda nessun dubbio nessuno che puntasse un dito contro
me, tutto troppo fortunato, piangevo per la paura che la fortuna passasse all’improvviso.
Poi seguirono le solite prassi: i poliziotti furono chiamati, venni interrogata un paio di
volte, il funerale, il periodo di lutto, Linda divorziò da mio padre perchè lui non voleva
traslocare… perchè io non volevo traslocare… insomma le solite cose
La polizia non trovò mai il colpevole e, per insufficienza di prove, l’indagine venne
sospesa in tre mesi circa e mai più riaperta.
Il giorno dopo l’omicidio del mio fratellastro, con il salotto e la cucina al piano di sotto
pieno zeppo di parenti in lacrime, detective, vicini e curiosi, in silenzio e con calma
assoluta me ne andai in soffitta, recuperai la refurtiva e la seppellii nel giardino
posteriore, proprio sotto le camelie che mamma, la mia mamma, aveva piantato anni
prima. E io non confessai mai… beh almeno fino ad oggi. Oggi le mie camelie son state
portate via, visto che non ho più le forze per innaffiarle e stavano soffrendo troppo.. dei
fiori così portafortuna è giusto che continuino a portarne a chi ne più bisogno di me.
Sofia N.
IIB